flatland

flatland comprende fotografie sagomate e stampate realizzate dal 2009 al 2010

about Flatland
scroll for english and serbian version

FLATLAND
Il “pensiero digitale” rappresentato da Jacopo Prina è metaforico, legato più allo stile di vita quotidiana imposto dalla tecnologia. Con la serie dal titolo Flatland, l’artista osserva diverse città del mondo scorgendovi similitudini che annullano le singole caratteristiche e favorendo altresì l’appiattimento e l’anonimato dell’homo urbanus, immerso in una dimensione che lo astrae dall’effettiva consistenza delle cose livellandolo su di una superficie sempre più liscia e monocromatica.
Prina interviene sui propri scatti oscurandone, in post-produzione, delle parti con forme geometriche e lasciandone libere allo sguardo delle altre, azzerando in questo modo le profondità spaziali e riportando ogni elemento alla pura bidimensionalità della superficie fotografica. Le figure umane che vi compaiono sono solitarie presenze che attraversano questo frammento di realtà, abitanti di un mondo piatto nel quale ogni spessore è stato abolito a favore di una più uniformante esistenza a due dimensioni, fatta da norme da seguire, schemi prestabiliti, obblighi comportamentali, gesti reiterati nella routine quotidiana del lavoro, da un ramificato e capillare monitoraggio di ogni azione, di ogni spostamento, di ogni frase, che la tecnologia permette di effettuare agli organi di controllo della vita sociale.
Alessandro Trabucco

FLATLAND
Jacopo Prina presenta flatland, mostra che raccoglie la sua recente produzione fotografica. Le norme da seguire, gli schemi prestabiliti, gli obblighi comportamentali, i gesti reiterati nella routine quotidiana del lavoro, il ramificato e capillare monitoraggio di ogni azione, di ogni spostamento, di ogni frase che la tecnologia permette di effettuare agli organi di controllo della vita sociale. Questi sono solo alcuni degli aspetti sui quali Jacopo Prina riflette con la propria rigorosa e coerente ricerca fotografica. Non è reportage, cioè una fotografia sempre alla ricerca dello scoop, della notizia giornalistica, dell’evento unico ed irripetibile, le immagini di Prina sono invece delle “finestre sul cortile” del cosiddetto villaggio globale, che testimoniano di un’omologazione sempre più preoccupante, sia nelle fredde ed ortogonali architetture sia nelle fattezze che la realtà urbana assume come “apparenza strutturale”, come costruzione ben calibrata atta a vanificare ogni iniziativa privata a favore della piatta condivisione dei sentimenti, delle opinioni e delle visioni. L’artista osserva le città e vi scorge similitudini che annullano le singole caratteristiche favorendo altresì l’appiattimento e l’anonimato dell’homo urbanus, immerso in una dimensione che lo astrae dall’effettiva consistenza delle cose livellandolo su di una superficie sempre più liscia e monocromatica. Prina interviene sui propri scatti oscurandone delle parti con forme geometriche e lasciando libere allo sguardo solo alcune zone, azzerando in questo modo le profondità spaziali e riportando ogni elemento alla pura bidimensionalità della superficie fotografica. Le figure umane che vi compaiono sono solitarie presenze che attraversano questo frammento di realtà, abitanti di un mondo piatto nel quale ogni spessore è stato abolito a favore di una più uniformante esistenza a due dimensioni.
Alessandro Trabucco

FLATLAND
Si è svolto presso le Gallerie del Cortiletto dell’Accademia di Brera a Milano Flatland, evento che ha raccolto i lavori più recenti di Jacopo Prina. Il titolo della mostra trae spunto da una novella satirica del 1884 dell’inglese Edwin Abbott. Abbott, per ironizzare sulle ridicole convenzioni della società Vittoriana, ipotizzava un mondo bidimensionale popolato da figure geometriche: maggiore il numero dei lati, maggiore lo status sociale dei personaggi. Anche il mondo raffigurato nei lavori di Prina è un mondo a due dimensioni. Lontano dall’essere semplici ‘reportage’ di alienazione urbana, le sue opere incorporano in composizioni di estremo rigore formale il malessere esistenziale di un mondo piatto, ossessionato dal controllo. Filo rosso dell’indagine che l’artista svolge attraverso una coerente ricerca fotografica è infatti la condizione umana nelle metropoli, in particolare Londra e Berlino, grandi palcoscenici del fenomeno della globalizzazione. Prina interviene sugli scatti ritagliando e ricomponendo frammenti di realtà, oscurandone delle parti con blocchi monocromi, forme geometriche che appiattiscono la profondità spaziale riducendola a motivo bidimensionale. In questo spazio livellato e omologato di immagini senza spessore, le architetture fredde e asettiche sembrano delimitare fisicamente e metaforicamente le esistenze degli abitanti. Spesso strutturate dal motivo della griglia modernista, le composizioni dell’artista mettono a nudo le linee verticali ed orizzontali che con una ripetitività delle forme ossessive e seriale costituiscono lo scheletro portante del paesaggio urbano contemporaneo. Le piccole figure umane che vi appaiono sono quasi sempre isolate e il loro movimento sembra congelato e racchiuso in algidi giochi di cornici geometriche. Vivere e muoversi all’interno delle metropoli nella società del capitalismo avanzato si configura nel lavoro di Jacopo Prina come un percorso predeterminato all’interno di molteplici gabbie. Dentro ed intorno alle moderne architetture di potere, le esistenze quotidiane si incanalano secondo schemi dettati dalla necessità di essere catalogati, di trovare una precisa collocazione professionale, sociale ed esistenziale, monitorati da un capillare regime di sorveglianza.
Alessandra Alliata Nobili – Arte Contemporanea n.21 gennaio- febbraio 2010

FLATLAND solo show at GALERIJA ZVONO Beograd 30 aprila 2010
Propisi koje treba poštovati, predodređeni obrasci, pravila ponašanja, pokreti koji se ponavljaju svakodnevno na poslu rutinski, razgranato nadgledanje svakog pokreta, svakog pomeranja, svake rečenice – tehnologija dopušta sprovođenje ovih radnji organima kontrole društvenog života. Ovo su samo neke aspekti kojima se bavi Jacopo Prina u svom rigoroznom i doslednom fotografskom radu. Ne radi se o novinarskoj reportaži, o fotografiji koja treba da izađe na naslovnoj strani i koja izveštava o nekom jedinstvenom i neponovljivom događaju, naprotiv prizori Jacopa Prine su „prozori koji gledaju u dvorište“ takozvanog globalnog sela. Ove slike svedoče o zabrinjavajućoj zvaničnoj potvrdi hladnih i pravougaonih arhitektura i „strukturalnom izgledu“ koji poprimaju gradski sredine, konstrukcije dobro i precizno odmerene sa ciljem da osujete svaku ličnu inicijativu zarad ravnog zajedničkog deljenja osećanja, mišljenja i shvatanja. Umetnik posmatra grad i u njemu opaža sličnosti koje poništavaju pojedinačne karakteristike i tako potpomažu ujednačavanje i anonimnost homo urbanus-a, gradskog čoveka zaronjenog u dimenziju koja ga odvaja od pravog sastava stvari i u kojoj se izravnjava na jednu sve uglačaniju i jednobojniju površinu. Prina zasenjuje delove svojih snimaka geometrijskim figurama i ostavlja vidljivim samo određene zone. Na ovaj način poništava dubinu prostora i ponovo vraća sve elemente u puku dvodimenzionalnost površine fotografije. Ljudske figure koje se pojavljuju su usamljene pojave koje prolaze kroz ove parčiće stvarnosti. One su stanovnici jednog ravnog sveta u kome su sve debljine predmet poništene u prilog jednog sve više ujednačavajućeg postojanja u dve dimenzije.

LE CONSEIL GENERAL solo show at FEDERICO BIANCHI CONTEMPORARY ART Milano 11 October 2008 comunicato stampa
Dentro la maglia rigida, predeterminata, delle mappe urbane le persone, incanalate da edifici e strade, vengono fermate dallo sguardo perplesso dell’artista. Osservatore attento e sconcertato egli vede nell’asettico e ripetitivo svolgersi dei percorsi una imposizione all’ordine e all’obbedienza inconscia verso un apparato edilizio e viario che inquadra, induce e consiglia, con apparente indifferenza, il percorso da seguire. “Le Conseil Général”, titolo di un’opera da cui prende nome anche la mostra, è un ritaglio murale che suggerisce all’osservatore attento la scoperta del senso delle cose che andava osservando: rivela un significato che era nascosto. Vi è nel caso tutto l’aspetto che è proprio di una rivelazione: le imposizioni urbane si presentano come libere all’accesso ed alla scelta di percorsi e delle azioni. Ma non è vero. Quel segnale nascosto, inosservato ai più e comunque da decifrare, rivela il senso: è un “consiglio generale” cioè fate come prescritto! Vista la situazione l’artista fa il suo mestiere: ferma le immagini, le ritaglia, le ricompone, modifica la griglia entro cui le azioni si svolgono, evidenzia l’ossessiva ripetizione delle forme e della loro geometrica disumanità. Come nella “Flatland” di Abbot le persone tendono a diventare figure geometriche regolari adatte a comporsi in disegni piatti non diversi dai ritagli di facciate edilizie alle quali si uniformano seguendo la struttura/sistema. Il “format” urbano si impone e si riproduce in ogni luogo ed i suoi abitanti vi si adattano più o meno coscienti: attori di un copione già scritto e riscritto. Dramma esistenziale collettivo che la gabbia omogeneizzante cerca di nascondere e qualche volta di abbellire con trucchi cosmetici e che l’artista invece disvela.

press release
Inside the strict, preconceived grid of urban maps, people, funneled by buildings and streets, are stopped by the perplexed glance of the artist. Watchful and puzzled, in the aseptic and repetitive course of the routes he sees an unconscious imposition to order and obedience toward a construction and road gears that frames, induces and advises, with apparent indifference, the path to be followed. “Le Conseil Général”, the title of a work the exhibition is also named after, as a wall cutting suggesting to the focusing observer the discovery of the meaning of things he was looking at: it reveals an hidden meaning. Urban impositions seem to be free to access and to choose paths and actions. But it’s not true. That hidden signal, unseen by most and yet to be decoded, reveals its sense: it’s a “general advice” that means do as prescribed! Considered the situation, the artist does his job: captures images, cuts them, recomposes them, modifies the grill in which actions are carried out, underlines the obsessive repetition of shapes and of their geometric inhumanity. Just like in Abbot’s “Flatland”, people tend to become regular geometric shapes to be composed in flat designs, not different from the facades they conform to following the structure/system. The urban “format” asserts itself and reproduces everywhere and its inhabitants adapt to it less or more consciously: performers of a script which was already written. A collective existential drama that the homogenizing cage tries to hide and, sometimes, to embellish with cosmetic tricks that the artist reveals.

URBAN SCRATCH solo show at FEDERICO BIANCHI GALLERY Milano 15 October 2005
La città infinita
Le aree metropolitane sono oggi caratterizzate da una forte perdita di identità.
I sistemi organizzativi e costruttivi, legati ad accogliere una popolazione in crescente spostamento, aggravano il problema dell’identità offrendo soluzioni sempre più standardizzate. Questo processo annienta il tessuto connettivo originario.
L’identità morfologica dei “non luoghi”, come stazioni, aeroporti e metropolitane, è quella che oggi rappresenta la struttura della funzionale metropoli moderna; gli identici quartieri dormitorio come gli uffici e le zone residenziali, di ogni città, la privano di carattere proprio.
Il ripetersi degli stessi negozi, marchi e pubblicità in ogni paese, il forte dominio delle multinazionali, la crescente ricchezza multirazziale e multiculturale costringono l’individuo ad abbandonare una identità tradizionalmente legata al luogo geografico e lo rendono protagonista, consapevole o inconscio, di una nuova era.
Leggo gli schemi che organizzano e formano la struttura fisica in cui questa società si muove; estraggo da questo panorama le forme standardizzate e ripetitive che lo caratterizzano. Cerco i segni caratteristici ed evidenziandoli li rendo icone del sistema.
I graffiti preistorici evocano la struttura della società primitiva. Ricordano con semplicità le tracce di una società agli albori. I segni ottenuti con il carbone, con gli ossidi, le terre ecc, richiamano la matericità delle loro caverne e dei loro sentieri. La rappresentazione sparsa di uomini, aratri ed animali, raffigura la struttura disordinata della loro società.
Altri nel corso dei secoli hanno usato gli strumenti del loro tempo: all’uso del carbone e delle terre, ho sostituito il computer, strumento focale della società tecnologica.
Ad una composizione sparsa di uomini, attrezzi e forme organiche, ho sostituito ripetizioni ordinate di ambienti urbani, legate e composte in strutture ortogonali.
L’uso del computer e l’utilizzo ossessivo della forma quadrata vogliono mettere in evidenza l’aspetto identitario della società attuale che, sotto l’apparente libertà, si rivela strutturata in rigidi schemi organizzativi, composti e ricomposti nella città tendenzialmente infinita.
Jacopo Prina

comunicato stampa
Il ripetersi degli elementi urbani e dei simboli del nostro tempo, costringono l’individuo ad abbandonare un’appartenenza legata al luogo geografico e lo rendono cittadino di una società infinita e globalizzata (daMilano a Berlino, da Londra a New York, da Tokyo a Singapore).
L’artista, in cerca d’identità, legge gli schemi che organizzano e formano la struttura fisica in cui questa società si muove. Estrae da questo panorama le forma standardizzate e ripetitive, riconoscibili nella nostra vita quotidiana: una finestra, un citofono, un marchio. Le moltiplica, le rimpicciolisce o le ingrandisce. Le celebra come icone del nostro tempo.

press release
The repetition of urban elements and of the symbols of our times forces the individual to abandon ties to a specific geographic location, making him a citizen of a infinite global community (from Milan to Berlin, from London to New York, from Tokyo to Singapore).
In the search for identità, the artist reads the patterns that organize and shapes the physical structure within which this community functions. From this overview he extracts the standardized and recurring forms recognizable in our daily life: a windows, an intercom, a brand. He multiplies them, shrinks them or enlarges them. He celebrates them as icons of our time.